PRIME RIFLESSIONI UIL SUL DOCUMENTO ECONOMIA E FINANZA 2017 (DEF 2017)

PRIME RIFLESSIONI UIL SUL DOCUMENTO ECONOMIA E FINANZA 2017 (DEF 2017)

A cura della UIL Servizio Politche Economiche

Se lo scorso anno definimmo il DEF con l’aggettivo: semi coraggioso, quest’anno la nostra definizione è sobrietà.

Prudenza e un ritorno al passato, con il “rispetto” delle esigenze di consolidamento di bilancio..

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Infatti, aver fissato per il prossimo anno un indebitamento dell’1,2% a fronte del 2,1% di quest’anno, ci fa tornare indietro di almeno 3 anni, in quanto sembra prevalere la logica dei “conti in ordine”.

Tanto per fare un esempio : in termini di risorse tale diminuzione significa “spendere” 14,4 miliardi di euro in meno.

Questo aspetto non conferisce alla DEF un carattere espansivo necessario in questa fase contrassegnata da una troppo debole ripresa dell’economia.

Da questo punto di vista Il Documento di Economia e Finanza 2017 (DEF) è molto deludente in quanto non lancia con maggior tenacia quella sfida all’Europa sulla strada della flessibilità, unica strada percorribile dalla politica in quanto il rigore dei conti pubblici a tutti i costi è sbagliato.

Mentre, noi, soprattutto in questo momento, sosteniamo come vi sia la necessità di mettere al centro delle priorità delle politiche europee e nazionali, la crescita, il rilancio degli investimenti e il benessere sociale e occupazionale.

Entrando nel merito del DEF, della sua visione programmatica e dei suoi numeri, pur in attesa dei testi completi e definitivi, quel che emerge è come nel nostro paese si torna a previsioni  di crescita, più contenute rispetto agli  altri Paesi più industrializzati.

Infatti per il prossimo anno la crescita del PIL è stimata in un più 1,1%, anche se poi nel successivo biennio è destinata a scendere all’1%.

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E’ positiva l’intenzione del Governo, anche se qui il condizionale sarebbe d’obbligo, di sterilizzare le clausole di salvaguardia (aumento aliquote dell’IVA), che valgono per il prossimo anno 19 miliardi di euro, attraverso il contenimento della spesa e con interventi di contrasto all’evasione.

Ma il Governo non può pensare che la sterilizzazione degli aumenti dell’IVA possa da sola rimettere in moto i consumi interni, così come occorre evitare che i risparmi di spesa non comportino una contrazione della crescita del PIL.

Da questo punto di vista è importante aggredire la spesa pubblica improduttiva introducendo “erga omnes” ed ad ogni livello di governo i cosiddetti “costi e fabbisogni standard”.

La revisione della spesa deve diventare un’occasione per razionalizzare la macchina amministrativa delle Pubblica Amministrazione, aumentarne la produttività, in quanto una pubblica amministrazione efficiente ed efficace è una precondizione essenziale di sviluppo.

Quanto alle azioni di contrasto all’evasione esse devono mirare all’emersione della base imponibile e non basarsi su altre rottamazioni di cartelle e mini condoni.

Contestualmente, occorre fare molta attenzione ed agire con il bisturi sulla revisione della cosiddetta spesa fiscale (riordino delle agevolazioni): bisogna evitare, in sostanza , che la revisione di queste agevolazioni fiscali si traduca automaticamente in un aumento della pressione fiscale.

Infatti la stragrande maggioranza di queste agevolazioni fiscali attiene a temi particolarmente sensibili: lavoro, casa, salute, assistenza e famiglia e la maggiore quota  è per le detrazioni da lavoro dipendente e pensione che rappresentano un pilastro della politica ridistribuiva e perequativa.

Sempre in tema di fisco non è per nulla positivo interrompere la strada della revisione strutturale del catasto, almeno per rendere più  equa la tassazione degli immobili ma, anche, per recuperare risorse da destinare alla diminuzione del carico fiscale e contributivo per lavoratori e imprese.

Purtroppo nel DEF non vediamo l’indicazione verso una riduzione generalizzata di imposte e tasse sul lavoro, pur essendo l’Italia tra i Paesi più industrializzati dove il costo del lavoro è più alto non per i salari netti, che restano tra i più bassi d’Europa, bensì per l’enorme carico fiscale e contributivo che pesa sulle buste paga.

Tra l’altro questo, unitamente alla bassa crescita economica, contribuisce in maniera determinante alla sostanziale stagnazione dell’occupazione.

Infatti, senza il recupero del potere di acquisto dei salari e delle pensioni l’economia rischia di non ripartire dal momento che la grande maggioranza il  nostro sistema  produttivo ed industriale di rivolge alla domanda interna.

Per questo è fondamentale iniziare, già nel corso di quest’anno, con una graduale, costante e strutturale riduzione del cuneo fiscale e contributivo per imprese e lavoratori.

La dote decontributiva triennale riservata agli under 35 anni, seppur selettiva, risponde solo in parte al tema di come ridurre il cuneo fiscale e contributivo.

Tra l’altro, se da un lato è un emergenza nazionale l’occupazione giovanile, dall’altro si corre il rischio di concentrare su una fascia di popolazione buona parte delle politiche attive del lavoro costituite dal sistema degli incentivi all’occupazione.

In pratica si rischia che questo nuovo strumento “cannibalizzi” altre buone forme di entrata nel mondo del lavoro dei giovani, quali l’apprendistato e l’alternanza scuola lavoro.

Consideriamo positivamente, certamente, la intenzione  del Governo a stanziare nel DEF la copertura di ulteriori risorse per i rinnovi contrattuali nel settore pubblico, rispettando così l’accordo del 30 novembre dello scorso anno voluto e firmato da Uil, Cisl, Cgil e Governo.

Ma dopo sette anni di sostanziale blocco, con contestuale riduzione del potere di acquisto degli stipendi, occorre immediatamente la direttiva per avviare formalmente le trattative all’Aran e sottoscrivere anche per i lavoratori pubblici i rinnovi contrattuali nel più breve tempo possibile.

Quanto poi al tema del contrasto alla povertà è positiva l’intenzione di aumentare la dotazione di finanziaria e di promuovere il varo di un reddito di inclusione attiva.

Ma le risorse stanziate sono ancora insufficienti per rendere davvero universale la misura, come calcola l’Alleanza contro la povertà, di cui la UIL fa parte, dal momento che, servirebbero non meno di 7,5 miliardi di euro per sostenere tutte le famiglie in condizioni di indigenza.

Vi è , su questo, il tema di “attivare” i percettori, reinserendoli nel mondo del lavoro e per farlo bisognerà rafforzare, al più presto ed anche con l’utilizzo delle risorse nazionali e comunitarie la rete locale dei centri per l’impiego anche per costruire dei percorsi di formazione su misura per adulti che spesso sono inoccupati da lungo periodo.

Inoltre non aiuta lo sdoppiamento delle funzioni: di questa “presa in carico” si dovranno occupare gli enti locali, mentre l’erogazione del sussidio sarà competenza dell’INPS.

Sdoppiamento che potrà essere “sanato, con l’intenzione del Governo di rafforzare il coordinamento degli interventi sociali finalizzato a garantire maggiore omogeneità nell’erogazione delle prestazioni.

Infatti non è più rinviabile la definizione a livello nazionale dei “Livelli Essenziali delle Prestazioni”, nell’erogazione delle prestazioni sociali sul territorio, tema ritornato quanto mai di attualità a seguito dell’esito del quesito referendario sulla riforma costituzionale.

Sarebbe, altresì, necessario rivedere il meccanismo che misura il grado di ricchezza o povertà delle persone (ISEE), ancorandolo a criteri di maggiore equità nell’accesso alle prestazioni sociali, rivedendo i criteri di calcolo reddituale e obbligando gli “enti erogatori” a rivedere le fasce di accesso ai servizi e di compartecipazione alla spesa da parte degli utenti.

Infine salutiamo positivamente il fatto che Governo abbia incluso nel DEF gli indicatori del benessere equo e sostenibile (BES), seppur in via sperimentale e limitati a 4 indicatori: l’andamento del reddito medio disponibile; la diseguaglianza dei redditi; la mancata partecipazione al mercato del lavoro; emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti.

In questo modo le scelte di politica economica possono superare l’approccio alla programmazione basato esclusivamente sul PIL e assumere, invece, impegni programmatici per migliorare ambiti più specifici della qualità della vita dei cittadini.

Non serve spingersi in avanti come il Buthan, dove il PIL è stato cestinato e sostituito con un indice di felicità.

Basta riconoscere, come sosteneva Kennedy, che il PIL non misura tutto, tanto meno il reale livello di benessere di un Paese.

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Vedere che il Governo inserisce tali indicatori nella programmazione economica è senza dubbio una novità positiva, ma dobbiamo augurarci, che il BES venga davvero considerato quando si tratterà di mettere a punto le politiche e le riforme sui temi specifici.

Non facciamoci tante illusioni, è un primo passo, ma ci vorrà del tempo per farlo digerire a politici e tecnici.

Anche perché, quando si tratterà di strappare a Bruxelles qualche decimo di flessibilità, per giudicare i successi o i fallimenti di una politica economica di un Paese sarà ancora il PIL a deciderlo.

Aprile 2017