L’intervista: Lavoro a rischio per 9 mila lavoratori
Il segretario generale Enrico Vizza, intervistato da Giampiero Rossi del Corriere della Sera lancia un allarme: «L’autunno sarà critico Salari a rischio per 9 mila»
«Valutiamo con sollievo tutti gli indicatori positivi, ma non possiamo trascurare quelli che invece ci impongono grande attenzione. E dovrebbe farlo anche la politica, perché non è affatto escluso il rischio di un autunno piuttosto caldo». Enrico Vizza è da poche settimane il nuovo segretario generale della Uil di Milano e della Lombardia. Viene dall’edilizia, dove è cresciuto prima da lavoratore e poi da sindacalista, dove ha acquisito un approccio «da strada» sulla realtà, «perché chi lavora o ha bisogno di lavorare chiede concretezza».
Vizza, perché teme un autunno problematico per il mondo del lavoro?
«Chiariamo subito che non è mia intenzione fare allarmismo e ignorare i segnali positivi, ma non posso nemmeno far finta di non vedere i sintomi preoccupanti. Quindi, per esempio, osservo che i dati sulla cassa integrazione ordinaria sono molto incoraggianti: c’è stato un crollo verticale sia nell’area milanese sia nel resto della Lombardia».
E quali sono i segnali negativi?
«Tanto per cominciare c’è una crescita del ricorso alla cassa integrazione straordinaria, che è lo strumento che entra in gioco quando sono in atto crisi o ristrutturazioni aziendali. Complessivamente i lavoratori coinvolti, che quindi vedono a rischio il proprio salario, sono quasi novemila. E poi sappiamo bene che il sistema economico sta soffrendo non poco per le ripercussioni della guerra in Ucraina, per gli choc sul mercato delle materie prime e dell’energia».
Ci sono aziende in sofferenza?
«Purtroppo sì. Dal settore dell’automobile e del suo indotto fino a quello degli elettrodomestici, per fare due esempi, c’è un problema serio nelle forniture di componentistica: ci sono stabilimenti che hanno dovuto ridurre l’attività produttiva e altre che si stanno riorganizzando. I problemi occupazionali sono alle porte, non mi sento di escludere anche qualche situazione fallimentare».
E cosa bisognerebbe fare, secondo lei di fronte a questo scenario?
«Innanzitutto prenderne atto e non far finta di non vederlo: noi chiediamo agli assessorati regionali competenti — Formazione e Sviluppo economico — l’apertura di un tavolo di monitoraggio e verifica su ogni crisi aziendale aperta, per capire quali azioni si possano mettere in campo caso per caso».
E quali possono essere gli strumenti utili?
«Le politiche attive per il lavoro. La formazione. Non soltanto per i giovani, ma anche per i quarantenni e cinquantenni che saranno costretti a riconvertirsi in settori e attività diverse. Per queste persone bisogna pensare anche a incentivi che assomiglino all’apprendistato…».
Ma non è una questione legislativa nazionale, questa?
«Certo, ma dal momento che sento continui richiami all’autonomia, mi chiedo perché una Regione come la Lombardia non utilizza tutti i margini di manovra per elaborare politiche attente a questo scenario occupazionale».
Le misure non sono mancate, soprattutto per compensare le crisi provocate dall’emergenza sanitaria...
«È vero e le abbiamo apprezzate, ma serve uno sguardo nuovo e più attento, perché non possiamo correre il rischio di trovarci con una nuova epidemia di precarietà: nei primi sei mesi di quest’anno oltre il 70 per cento dei 133 mila nuovi lavori sono a termine. La flessibilità è uno strumento utile alle imprese e all’economia, ma poi succede che a quei lavoratori le banche non concedono i mutui. E così non si va avanti».